Onde giganti che si abbattono sulle coste distruggendo
tutto ciò che incontrano sulla loro strada dopo aver percorso
migliaia di chilometri. Vedremo mai questi cartelli in Italia?
Onde di otto metri che si abbattono su San Francisco e devastano la “Bay Area”, spazzando via case e ponti come se fossero costruzioni di Lego: non è l’ultimo catastrofico film di Hollywood, ma lo scenario ipotizzato da uno studio del Centro americano di geofisica USGS, l’agenzia statunitense che effettua il monitoraggio di terremoti e maremoti in tutto il mondo.
La California, com’è noto, è percorsa da nord a sud da una faglia tra le più pericolose, la faglia di Sant’Andrea, che ha dato origine in passato a numerosi terremoti fra cui quello che devastò San Francisco nel 1906: diversi di questi terremoti storici sono stimati oltre 7 gradi di magnitudo. Dal nord della California fino alla zona di Vancouver, in Canada, si estende invece un’altra faglia, quella di Cascadia, dalla quale secondo lo studio provengono i maggiori rischi in termini di tsunami per la California meridionale.
“Prove storiche e geologiche indicano che la costa californiana ha già subito tsunami di questa portata e che è minacciata da tsunami che possono essere provocati da diversi fenomeni”, spiega il rapporto pubblicato assieme all’Agenzia californiana di protezione civile. Almeno sette volte negli ultimi 3500 anni, terremoti sulla faglia di Cascadia hanno provocato tsunami nella California meridionale, l’ultimo nell’anno 1700.
“La California del sud potrebbe essere colpita da uno tsunami del genere senza nemmeno sentire la scossa iniziale, e le onde arriverebbero circa un’ora dopo”. Un’ora, nel migliore dei casi: perché le onde potrebbero arrivare a superare gli otto metri e potrebbero “inondare le zone a rischio da 15 a 20 minuti dopo la scossa iniziale”. Uno scenario davvero da film catastrofico, perché sui tratti di costa più a rischio, spiega lo studio, vivono 270.000 persone e altre 170.000 vi si recano quotidianamente per lavorare.
fonte: La Stampa, 26.3.2013
E il Mediterraneo?
Anche il mare che circonda la nostra penisola è soggetto a Tsunami altrettanto pericolosi.
A generare queste gigantesche onde sono grandi terremoti che avvengono anche in luoghi distanti ma non tutti sono in grado di dare inizio al maremoto.
Molto dipende dalla profondità ipocentrale e dal tipo di terremoto avvenuto, infatti il movimento di una faglia trascorrente difficilmente riesce a mettere in movimento le particelle dell’acqua. Al contrario, grandi innalzamenti del fondo marino riescono a sollevare l’acqua che inizialmente si muove a velocità altissima, anche 800 km/h, per poi rallentare con l’avvicinarsi delle coste aumentando in ampiezza e rovesciando grandi onde che, in base al tipo di costa, possono percorrere anche diversi chilometri verso l’entroterra.
I paesi maggiormente a rischio sono la Grecia e il Sud dell’Italia le cui coste potrebbero essere investite da devastanti onde causate da grandi terremoti come già in passato è avvenuto.
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Le immagini degli ultimi due devastanti Tsunami sono ancora impresse nelle nostre menti. Nel 2011 il terremoto del Giappone di Mw 9.0 scatenò devastanti onde che provocarono la morte di almeno 20.000 persone mentre quello del 2004 di Sumatra, Mw 9.3, ben più devastante con un numero ancora oggi imprecisato di vittime ma certamente superiore alle 250.000 unità.
Nel frattempo sono già iniziati i Test da parte del Cat-INGV per il controllo del Mediterraneo che dovrebbe entrare a regime entro il 2016.
Il più grande Tsunami del Mediterraneo
Il primato del più catastrofico tsunami del Mediterraneo, avvenuto in tempi storici, sarebbe quello associato al terremoto di Creta del 365 d.C., le cui ondate colpirono anche diverse località dell’Italia centro-meridionale, oltre a devastare molte città del Nord Africa, compresa Alessandria d’Egitto.
Un esempio recente di tsunami non sismico è quello di Stromboli del 30 dicembre 2002, causato dal crollo, in gran parte sottomarino, del materiale eruttivo accumulato lungo la Sciara del fuoco.
Le sorgenti di tsunami più pericolose per le zone costiere italiane, secondo studi recenti, sono le faglie sottomarine della Grecia, della Calabria ionica e della Sicilia orientale; senza escludere l’Adriatico meridionale, la Calabria tirrenica, la Sicilia settentrionale e il Nord Africa. Da noi, come in tutto il Mediterraneo, date le piccole dimensioni dei bacini e le elevate velocità delle onde, che viaggiano a diverse centinaia di chilometri all’ora, i tempi di allerta sono molto ridotti, dell’ordine dei minuti o delle decine di minuti.
Per questo sono necessarie campagne di formazione e di informazione efficaci.